In memoria di…
Mi sembra ieri che mentre stavo mettendo i ferri alla tua mamma tu avvicinandoti con aria indifferente mi rubavi la scatola dei chiodi e fuggivi via sparpagliandoli tutti intorno. Poi ti fermavi infondo al campo e mi guardavi con aria soddisfatta. La stessa espressione che avevi quando, diversi anni dopo, ti avvicinavi alla mia faretra e con la bocca prendevi alcune frecce e correndo via le lasciavi cadere qua e là, poi ti giravi a guardarmi con l’espressione di quello che pensava “anche stavolta ti ho fregato”.
E quando la puledro scappavi dal tuo recinto ed andavi a fare visita al solito negozio che esponeva giocattoli, fra la gioia dei bambini, la paura dei genitori e la disperazione dei Carabinieri per questi piccoli allarmi fin troppo frequenti.
Poi la doma: facile. L’addestramento: ancora più facile perché tu imparavi tutto in fretta.
Il primo spettacolo a 3 anni e mezzo all’Accademia di Cavalleria finito il quale gli Ufficiali presenti sono venuti a complimentarsi.
Ricordo ancora quando ti versavo il cibo nella mangiatoia e tu prima di iniziare a mangiare, mi mettevi la tua testa sotto l’ascella come per ringraziarmi. E ancora, se durante le faccende di scuderia ricevevo una telefonata, ti avvicinavi e mi appoggiavi la testa sulla spalla e poi mi stringevi fino quasi a farmi male.
Assieme abbiamo raccolto applausi negli spettacoli. Assieme abbiamo percorso i sentieri delle nostre montagne, sognando le steppe asiatiche, sognando un mondo nuovo, sognando il nostro mondo.
Un sogno durato quasi vent’anni.
Poi un primo piccolo segnale; il primo intervento chirurgico. Poi il secondo, più devastante. Il responso della biopsia… non ci volevo credere ma non c’erano dubbi: lo stesso male che pochi anni fa aveva portato via il mio amico Giulio ora aveva colpito anche te.
Passavo lunghi momenti assieme a te nel box, parlandoti ed accarezzandoti la fronte con la speranza che chissà quale energia potesse estirpare il male. Poi solo il pianto. Ed a quel punto sembrava che fossi tu a consolare me, sembrava mi dicessi di stare tranquillo perché dove stavi andando avresti trovato degli amici con i quali continuare a sognare.
Poi in un freddo giorno d’inverno te ne sei andato lasciandomi lì a fissare la montagna cercandoti con lo sguardo mentre affrontavi quell’ultimo passo.
Non ti scorderò mai, Rio, amico mio.